Funzionaria dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
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1. Una delle problematiche più rilevanti che si è dovuto affrontare nell’ambito dei lavori preparatori alla recente Direttiva sul risarcimento del danno antitrust (Direttiva 2014/104/UE) attiene al rischio che chi agisca per il risarcimento del danno derivante dal cartello confessato da un leniency applicant possa entrare in possesso delle prove autoincriminati trasmesse da quest’ultimo all’Autorità di concorrenza nell’ambito della domanda di clemenza.
La ricerca di una soluzione a tale problema deve necessariamente passare per un accurato bilanciamento fra l’esigenza, da un lato, di garantire a chi sia pregiudicato dal comportamento anticoncorrenziale di poter ottenere il pieno ristoro del danno subito (diritto che è stato definitivamente riconosciuto dalla Corte di Giustizia con il caso C-453/99, Courage e Crehan), e l’esigenza, dal lato opposto, di salvaguardare gli incentivi delle imprese a collaborare nell’ambito dei programmi di clemenza, in quanto strumenti essenziali di public enforcement avverso le violazioni più gravi del diritto della concorrenza.
La questione involge sia quella dell’accessibilità delle dichiarazioni e dei documenti forniti dal leniency applicant da parte di terzi che ne facciano istanza all’Autorità di concorrenza, sia pure quella della loro esibizione per ordine di un giudice civile nell’ambito della causa risarcitoria intentata da chi si assuma pregiudicato dall’infrazione oggetto di confessione.
2. Il primo profilo, relativo all’accessibilità della leniency mediante istanza all’Autorità di concorrenza, è oggetto di trattazione all’interno della stessa disciplina della clemenza, nazionale e comunitaria.
La Comunicazione leniency della Commissione (2006/C 298/11), infatti, con riguardo all’accesso dei coautori del cartello alle dichiarazioni confessorie (c.d. corporate statement) detta un’articolata regola limitativa (punti 33-34) – tesa a contemperare la facoltà delle imprese di esercitare i diritti di difesa nel procedimento dinanzi alla Commissione con la necessità di preservare gli incentivi a collaborare (v. punto 7) -, e con riguardo all’accesso alla medesima dichiarazione da parte di terzi, cioè di quei soggetti che possono concretamente avere un interesse ad agire per il ristoro del pregiudizio subito dal cartello confessato, sancisce una rigorosa preclusione (punto 33).
Nulla è detto, invece, nell’ambito di tale disciplina comunitaria, circa l’accessibilità dei documenti che il leniency applicant alleghi alla propria dichiarazione confessoria. Sul punto, stante il silenzio della Commissione, è stata sollevata una questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE innanzi alla Corte di Giustizia (causa Pfleiderer, C-360/09). A conclusione di tale giudizio, la Corte di Giustizia ha osservato che, benché le disposizioni comunitarie «non ostano a che un soggetto danneggiato da un’infrazione al diritto della concorrenza dell’Unione, e che intenda conseguire il risarcimento del danno, ottenga l’accesso ai documenti relativi ad un procedimento di clemenza riguardante l’autore di tale infrazione», e ciò in quanto la loro ostensione è funzionale a garantire il riconosciuto diritto di chiunque a chiedere il risarcimento del danno causato da un comportamento anticoncorrenziale, tuttavia «spetta ai giudici degli Stati membri, sulla base del loro diritto nazionale, determinare le condizioni alle quali un simile accesso deve essere autorizzato o negato, ponderando gli interessi tutelati dal diritto dell’Unione».La decisione ha incontrato le critiche di chi ha ritenuto che il mero rinvio ad un approccio casistico vada a discapito dell’omogeneità applicativa e possa anche favorire il forum shopping. É sembrata infatti emergere una certa difficoltà dei giudici nazionali ad applicare omogeneamente il balancing test formulato in Pfleiderer, tant’è che una nuova questione pregiudiziale è stata al proposito sollevata nella causa Donau Chemie (C-536/11).
La relativa pronuncia della Corte di Giustizia, pur richiamando i principi già enunciati nel precedente Pfleiderer circa la necessità di un bilanciamento caso per caso, sembrerebbe contenere statuizioni maggiormente pregnanti nel senso del riconoscimento dell’esigenza di tutela dell’efficacia dei programmi di clemenza. In effetti, se la Corte da un lato ha ritenuto che una norma quale quella contenuta nel Kartellgesetz austriaco, che subordina al consenso di tutte le parti l’accesso dei terzi al fascicolo – sostanzialmente conducendo ad un divieto generalizzato ed assoluto di accesso – osta al diritto dell’Unione, in quanto priva di ogni effetto utile il diritto al risarcimento, d’altro lato essa ha ammesso che la valutazione caso per caso possa condurre ad un diniego di accesso ad uno o più documenti relativi ad una domanda di clemenza laddove ciò sia giustificato (non in maniera generalizzata ma specifica) dal fatto che l’accesso a quel “determinato documento rechi concretamente pregiudizio all’interesse pubblico attinente all’efficacia del programma di clemenza” (punto 48 della sentenza).
Sulla scorta del modello comunitario, anche a livello nazionale è stata prevista un’apposita disciplina dell’accesso alla leniency (v. Comunicazione leniency dell’Autorità, punto 10bis) che distingue a seconda i) del soggetto istante (co-cartelists o terzo), e ii) dell’oggetto dell’accesso (dichiarazione confessoria o documenti allegati).
Per quel che più interessa in questa sede, e cioè l’accesso dei terzi che potrebbero intentare azioni di danno, il Programma di clemenza nazionale è passato da un iniziale diniego assoluto alla previsione secondo cui “nel corso del procedimento istruttorio, ai soggetti terzi, anche se intervenuti nel procedimento, non è accordato l’accesso né alle dichiarazioni confessorie né alla documentazione allegata” (tale modifica è stata apportata con delibera 31 luglio 2013, n. 24506). Ai sensi dell’attuale disciplina nazionale, quindi, se è preclusa l’ostensione ai terzi dei documenti allegati alla leniency finché è aperta l’indagine, ne rimane possibile l’acquisizione in fase successiva, venendo rimessa a tal punto all’Autorità quella discrezionale valutazione comparativa degli interessi in gioco cui fa riferimento la Corte di Giustizia nelle sentenze sopra citate. Diversamente, l’accesso dei terzi alla dichiarazione confessoria non può che ritenersi, in linea con la Comunicazione leniency della Commissione (punto 33), precluso in qualsiasi momento.
3. Della distinta ma parallela questione della discoverability della leniency per ordine del giudice civile la disciplina comunitaria della clemenza si occupava solo in parte, prevedendo – affinché la spontanea collaborazione delle imprese non fosse “scoraggiata con ordini di esibizione delle prove documentali nell’ambito dei procedimenti giudiziari in sede civile” (punto 6 della Comunicazione leniency della Commissione) – la possibilità di presentare una domanda in forma orale (punto 32). L’oralità della dichiarazione consente infatti di evitare che il leniency applicant possegga alcuna copia della propria confessione, la quale possa essere oggetto di un ordine giudiziale di divulgazione su richiesta di chi agisca per i danni derivanti dal cartello, impartibile specie in quei sistemi connotati da c.d. wide-ranging discovery rules, come tipicamente quello statunitense.
Una più completa disciplina della discoverability viene invece oggi prevista nella Direttiva.
Quest’ultima si fa infatti esplicitamente carico di dettare regole che siano idonee a contemperare l’esigenza di consentire ai soggetti danneggiati da una violazione antitrust di “attingere” agli elementi di prova in possesso delle Autorità garanti, onde agevolarne l’assolvimento dell’onere probatorio in giudizio, con l’opposta esigenza di preservare l’incentivo delle imprese a cooperare con le Autorità antitrust nell’ambito del public enforcement (v. considerando 21-24 della Direttiva). La Direttiva muove infatti dal presupposto che, pur essendo stata assegnata efficacia vincolante in sede civile alle decisioni di accertamento delle Autorità (art. 9), e pur essendo presunto iuris tantum il danno in caso di cartello (art. 17.2), residui a svantaggio del soggetto danneggiato una forte asimmetria informativa, non solo nelle azioni stand-alone, o in quelle conseguenti a decisioni con impegni – in cui un accertamento difetta – ma, più in generale, anche in quelle follow-on, per tutti i fatti per cui la decisione non ha effetti vincolanti (il nesso di causalità e l’esistenza e l’ammontare del danno), nonché in ragione della complessa analisi fattuale ed economica sottesa all’accertamento, tale da giustificare comunque la previsione della divulgazione dei documenti contenuti nel fascicolo delle Autorità garanti della concorrenza (v. pure considerando 14 e 15).
La necessità di bilanciare le opposte esigenze in gioco era già sottolineata nel Libro Verde (v. punti 230-231 dell’annesso Staff Working Paper allegato), nonché poi nel Libro Bianco, ove, al fine di preservare l’attrattività dei programmi di clemenza, veniva proposta la sola preclusione della divulgazione del corporate statement.
Quanto ipotizzato in sede di Libro Bianco ha preso poi definitiva forma nel testo della recente Direttiva che, nel regolare l’intero sistema di c.d. “divulgazione delle prove” (Capo II, art. 5), dedica specifica attenzione alla divulgazione delle prove incluse nel fascicolo di un’Autorità garante della concorrenza (art. 6) e, tra queste, anche alla divulgazione di quelle connesse all’applicazione dei programmi di clemenza. Ivi (art. 6.6; considerando 24 e 26) le dichiarazioni confessorie vengono inserite nella c.d. black list, e cioè l’elenco delle prove la cui divulgazione non può mai essere ordinata dai giudici nazionali.
Difetta invece nella Direttiva una norma ad hoc – così come, si è visto, nella Comunicazione leniency della Commissione con riguardo alla parallela questione dell’accesso – che concerna la divulgabilità dei documenti prodotti dal leniency applicant in allegato alla dichiarazione confessoria. Per essi sembrerebbe quindi valere il regime generale di divulgazione previsto dall’art. 6.9 per le “altre” prove – diverse da quelle della black list e della grey list – incluse nel fascicolo di un’Autorità garante della concorrenza.
A prima lettura tale norma parrebbe consentire ai giudici una facoltà estremamente ampia di ordinare la divulgazione (“…può essere ordinata in ogni momento ai fini delle azioni per il risarcimento del danno”); ma a detta facoltà si giustappone, a ben vedere, una serie articolata di limitazioni (disposte dallo stesso art. 6 e, per rinvio, dall’art. 5; v. pure considerando 16 e 17). Tutto il sistema è retto infatti dal principio di proporzionalità dell’ordine che i giudici intendano impartire: all’uopo il giudice dovrà considerare – oltre alla specificità della richiesta (art. 6.4.a) e all’attinenza di questa all’azione risarcitoria (6.4.b), nonché, per rinvio all’art. 5, agli interessi legittimi di tutte le parti e tutti i terzi interessati (art. 5.3), tra cui quello alla riservatezza (art. 5.3.c) – la necessaria salvaguardia dell’applicazione a livello pubblicistico del diritto della concorrenza (art. 6.4.c).
Proprio a tale fine è disposta la sussidiarietà dell’ordine di divulgazione ad un’Autorità garante di concorrenza, il quale potrà infatti essere impartito dal giudice nazionale solo qualora nessuna parte o terzo sia ragionevolmente in grado di fornire le medesime prove (art. 6.10). Inoltre, l’esigenza di salvaguardia del public enforcement (su cui v. pure considerando 21 e 23) dovrà essere tenuta in debito conto ai fini della valutazione di proporzionalità laddove ciò sia richiesto da un’Autorità garante della concorrenza nell’ambito delle osservazioni che quest’ultima può presentare d’ufficio al giudice chiamato a decidere se impartire un ordine di divulgazione avente ad oggetto le prove incluse nel fascicolo (art. 6.4.c che rinvia all’art. 6.11; considerando 30).
Con specifico riferimento ai documenti allegati alla leniency, dall’insieme delle citate disposizioni limitative potrebbe dedursi l’onere per i giudici, prima che questi possano ordinarne la divulgazione, di effettuare un bilanciamento degli interessi in gioco in qualche modo simmetrico a quello che, secondo la Corte di Giustizia, deve essere assolto a fronte di istanze di accesso dei terzi ai medesimi documenti, in modo da arginare la regola generale (che, si ricorda, letteralmente consentirebbe invece la divulgazione “at any time”: art. 6.9).
Sembra tuttavia che anche la Direttiva non sia stata pienamente in grado di eliminare l’incertezza applicativa introdotta da Pfleiderer.
Rimane ad esempio dubbio se il combinato disposto degli artt. 5 e 6 della Direttiva possa evitare sistematicamente la divulgazione della documentazione allegata dal leniency applicant finché il procedimento istruttorio è ancora in corso (o almeno sino alla trasmissione della lettera degli addebiti). Si ricorda infatti che proprio in questo senso si esprimeva la Commissione nello Staff Working Paper al Libro Bianco, punto 119, laddove, preso atto che la disclosure di alcuni documenti, quali quelli allegati al corporate statement, potrebbe interferire indebitamente con lo svolgimento di un’indagine antitrust, veniva ipotizzata una regola volta ad impedire alle corti temporaneamente – e cioè finché l’indagine è in corso – di emettere ordini di divulgazione (c.d. “investigative privilege”). La medesima regola, infine, è stata adottata, come visto, anche nell’ordinamento nazionale per il caso – parallelo alla “divulgazione” – dell’accesso ai documenti allegati alla leniency da parte dei terzi (punto 10 bis della Comunicazione leniency dell’Autorità).
4. L’Italia si accinge oggi, al pari degli altri Stati membri, alla doverosa attuazione della Direttiva (prevista entro il 27 dicembre 2016).
Sinora la questione discoverability della domanda di clemenza non si è concretamente posta dinanzi all’Autorità: infatti, pur essendo stata destinataria di ordini di esibizione di documenti contenuti nei propri fascicoli, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c., all’Autorità non è mai pervenuto lo specifico ordine di esibire quanto trasmesso da un leniency applicant (dichiarazione confessoria e/o documenti).
Nell’attuare la Direttiva, attesa la protezione assoluta che le norme comunitarie garantiscono alla dichiarazione confessoria, la corrispondente norma nazionale di certo dovrà essere simmetricamente ostativa del potere del giudice ordinario di ordinarne l’esibizione. Quanto alla documentazione allegata alla leniency, il recepimento della Direttiva potrebbe essere invece l’occasione per chiarire la direzione cui dovrebbe più concretamente condurre il balancing test indicato dalla Corte di Giustizia, limitando l’incertezza giuridica. In particolare, si potrebbe dedicare alla discoverability di tali documenti trasmessi dal richiedente il trattamento favorevole una disciplina specifica, in modo da distinguerli, più chiaramente di quanto sia nella Direttiva stessa, da tutti gli altri documenti contenuti nel fascicolo istruttorio dell’Autorità, e da segnare più distintamente – anche valorizzando alcuni dei limiti disposti negli artt. 5 e 6 della Direttiva – i confini ad una loro acquisizione nel processo civile laddove si riveli pregiudizievole dell’efficacia dell’istituto della clemenza.