La Commissione europea ha pubblicato i dati relativi ai programmi di formazione dei magistrati in materia antitrust da essa finanziati nel periodo 2007-2013.
I dati sono di grande interesse perché aggiungono un tassello informativo importante per chi ha voglia di cercare di comporre il grande puzzle del private antitrust enforcement in Europa.
Come noto, il private antitrust enforcement (i.e. le azioni incardinate presso una giurisdizione nazionale basate su di una violazione degli articoli 101 e/o 102 TFUE o delle corrispondenti norme nazionali) ha in Europa un ruolo minore rispetto all’applicazione delle regole di concorrenza da parte della Commissione Europea e delle Autorità di Concorrenza nazionali (cd public antitrust enforcement).
Tra il 2006 ed i 2012, il 25% delle decisioni di accertamento e sanzione della Commissione europea è stato seguito da azioni di risarcimento del danno nelle giurisdizioni nazionali.
Tali azioni sono state incardinate, significativamente, solo in alcuni Stati Membri (ed in primis nel Regno Unito, in Germania ed in Olanda).
Una premessa metodologica è a questo punto necessaria: i dati sul private antitrust enforcement in Europa non sono attendibili. Nessuno sa con certezza quante siano precisamente le azioni incardinate presso le giurisdizioni nazionali in materia, nessuno ha il testo integrale di tutte le sentenze in materia. Non esiste un data base ufficiale (ci sono molte valide stime – si veda ad es. il recentissimo lavoro curato dal Prof. Barry Rodger) ma è certo che molte decisioni non vengono “intercettate” dai canali ufficiali.
E ciò nonostante le Corti nazionali siano tenute (ai sensi dell’art. 15.2 del Reg. CE 1/03) a comunicare “senza ritardo” alla Commissione le decisioni da esse assunte in materia (piuttosto desolante al riguardo è il data base della Commissione europea che raccoglie tali decisioni, qui. Si prenda, ad esempio, l’Italia: è riportata un sola sentenza resa nel 2007 dal Tribunale di Roma. Sappiamo per certo che vi sono molte altre sentenze ma non sono riportate dalla Commissione). In Italia tra il 1990 ed il 2010 sono state contate oltre 150 azioni giudiziali antitrust, il 75 % delle quali stand alone.
Ciò premesso, i dati disponibili (seppure con i limiti sopra accennati) indicano che ci sono ampi margini di crescita del private antitrust enforcement in Europa anche perché bisogna tenere conto delle azioni giudiziali fondate sulle violazioni delle regole di concorrenza nazionali, tradizionalmente ben radicate e promosse con relativa frequenza in quasi tutti gli Stati membri (ed in particolar modo in Italia).
In altre parole, non deve essere trascurato il ruolo del private antitrust enforcement “domestico” che, seppure strutturalmente e processualmente molto diverso dalla private litigation radicata nelle corti inglesi, tedesche ed olandesi, ha un ruolo fondamentale per la tutela dei diritti di coloro che sono vittime di un illecito antitrust nel mercato unico.
In questo contesto i dati sulla formazione dei magistrati in materia antitrust pubblicati dalla Commissione appaiono davvero interessanti.
In primo luogo apprendiamo che dal 2007 ad oggi i magistrati europei che hanno ricevuto una formazione ad hoc in materia antitrust sono 6587.
Il secondo dato di interesse è che nel periodo 2007-2013 il Regno Unito, la Germania e l’Olanda (le prime tre giurisdizioni UE – secondo la Commissione -per quantità di casi di private enforcement trattati) hanno complessivamente formato in materia antitrust 496 magistrati.
L’Italia, da sola, nello stesso periodo ne ha formati 532, collocandosi al secondo posto nella classifica degli Stati membri (il primo posto va al Portogallo ha ha formato in antitrust ben 1034 giudici. Il menzionato rapporto curato dal Prof. B. Rodger stima per il Portogallo 33 casi di private antitrust enforcement dal 1998 al 2012).
Considerato che il terzo paese per numero di giudici formati in antitrust è la Spagna (con 402 magistrati) ed il quarto la Slovenia (con 366 magistrati) i si potrebbe ritenere che la Commissione stia perseguendo un approccio fortemente orizzontale nella formazione dei magistrati leggermente sbilanciato verso i Paesi con una cultura della concorrenza meno diffusa nella società.
Un simile approccio sembra informare anche la recente proposta di direttiva in materia di azioni di danno antitrust, attualmente in discussione al Parlamento europeo, che è dichiaratamente volta a porre tutti gli Stati membri sullo stesso piano al fine di evitare fenomeni di “forum shopping” dentro l’UE.
E qui il puzzle si complica: il contesto normativo armonizzato in materia di private antitrust enforcement che sarà introdotto negli Stati membri dalla direttiva (sempre se verrà approvata entro la fine della legislatura UE) si installerà comunque su un assetto procedurale e culturale profondamente diverso tra le varie giurisdizioni UE.
Gli incentivi al “forum shopping” (ed i disincentivi al ricorso alle giurisdizioni locali inefficienti) saranno ancora molto forti (si pensi in primis la durata dei processi civili) e continueremo a registrare “contesti” più fertili all’affermazione del private antitrust enforcement.
La specializzazione è comunque la strada giusta per non restare (troppo) indietro.