Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6314 del 2019, si è pronunciato sull’appello proposto da Superbeton avverso la sentenza con cui il Tar Lazio aveva confermato il provvedimento sanzionatorio adottato dall’AGCM all’esito del procedimento I722.
Come si ricorderà, con provvedimento del 25 marzo 2015 l’Autorità aveva sanzionato Superbeton e altre sette società produttrici di calcestruzzo operanti in Friuli Venezia Giulia per aver attuato, tra il 2010 e il 2013, due intese per fissare i prezzi e spartirsi la clientela: una, nelle province di Udine, Pordenone, Gorizia e nella provincia di Treviso a sinistra del Piave; l’altra, nella provincia di Trieste. Il meccanismo delle due intese prevedeva lo scambio di informazioni (quote storiche e informative di cantieri aperti o in apertura) per il tramite della società di consulenza Intermodale, che le raccoglieva in tabulati riepilogativi, in cui erano utilizzati codici cifrati per individuare i produttori. Tali tabulati venivano quindi distribuiti e discussi nel corso di riunioni settimanali, diverse per le due intese, includendo spesso anche il prezzo di riferimento della fornitura. Il coordinamento prevedeva infine l’irrogazione di sanzioni da parte della società di consulenza a carico delle imprese devianti. A fronte di tali condotte, l’Autorità aveva irrogato a Superbeton una sanzione di oltre sei milioni di Euro.
Nel 2016, pronunciandosi sul ricorso proposto da Superbeton il Tar Lazio aveva confermato integralmente il provvedimento sanzionatorio, obbligando tuttavia l’AGCM a concedere la rateizzazione richiesta dalla società.
Nel giudizio di appello, Superbenton ha dedotto in primo luogo l’illegittimità del provvedimento impugnato e l’erroneità della sentenza nella parte in cui non hanno ravvisato la peculiarità della posizione dell’appellante rispetto alle altre società coinvolte nell’intesa illecita, sostenendo che:
i) l’Autorità avrebbe erroneamente interpretato le dichiarazioni di un dipendente della società come ammissione della partecipazione all’intesa;
ii) la trasmissione di dati storici ad Intermodale sarebbe stata dovuta soltanto dall’esigenza di controllare la qualità del credito, a fronte di ingenti perdite subite;
iii) la società non si sarebbe comportata nel mercato in modo coordinato con le altre imprese, applicando una politica dei prezzi estremamente aggressiva;
iv) non potrebbe sostenersi che lo scopo perseguito attraverso l’intesa fosse quello di difendere la propria quota storica di mercato acquisita nell’area della cd. “Sinistra Piave”, in quanto in tale area operava soltanto la società appellante.
Il Consiglio di Stato ha giudicato il motivo di appello infondato rilevando, nell’ordine, che:
i) le affermazioni del dipendente della società – con cui questi ha confermato di essersi recato presso Intermodale e di aver fornito alla stessa informazioni sui cantieri, anche alla presenza di concorrenti – hanno una chiara valenza probatoria e non possono trovare una giustificazione alternativa;
ii) la spiegazione alternativa alla trasmissione dei dati ad Intermodale non è sorretta da adeguati supporti probatori;
iii) la circostanza che la società abbia tenuto un comportamento non in linea con gli accordi non assume di per sé rilievo a fronte di un quadro indiziario consistente quale quello in esame;
iv) non assume rilievo la circostanza che Superbeton fosse l’unica impresa attiva nell’area della “Sinistra Piave”, in quanto tale area non definisce un mercato a sé stante.
Il Consiglio di Stato ha rigettato poi il motivo di appello con cui Superbeton ha censurato il provvedimento e dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui hanno incluso nell’area oggetto di contestazione anche l’area della cd. “Sinistra Piave”, già oggetto di inclusione nel procedimento I780.
Secondo il Consiglio di Stato i due procedimenti sono autonomi e legittimamente possono ricomprendere un’area in comune.
Sono stati invece giudicati meritevoli di accoglimento da parte del Consiglio di Stato due dei motivi con cui l’appellante ha censurato la determinazione della sanzione irrogata.
Nello specifico il Consiglio di Stato, accogliendo le censure di Superbeton, ha statuito che l’Autorità avrebbe dovuto ridurre la sanzione di un primo 15%, in ragione dell’adozione da parte della società di un programma di compliance antitrust (la cui trasmissione all’Autorità è avvenuta prima della trasmissione della CRI) e di un ulteriore 15% per garantire la proporzionalità della sanzione, a fronte delle specifiche circostanze del caso.
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Fonte: Giustizia Amministrativa