Con sentenza n. 6105 del 2018 il Tar Lazio si è pronunciato sul ricorso proposto dal Consiglio Notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia (“Consiglio”) e dall’Associazione Notariato Romano Dismissioni Immobiliari (“ASNODIM”) per l’annullamento del provvedimento sanzionatorio emesso dall’AGCM a conclusione del procedimento istruttorio I797.
Come si ricorderà, con il provvedimento impugnato l’AGCM aveva accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, consiste nell’adozione della Delibera n. 2287 del 29 maggio 2006, con la quale, secondo l’AGCM il Consiglio si sarebbe avocato il compito di designare, tramite ASNODIM, i notai a cui affidare gli incarichi di redazione degli atti di rogito e di mutuo, nell’ambito delle dismissioni del patrimonio immobiliare di enti pubblici e previdenziali. L’AGCM aveva inoltre ritenuto che, in applicazione di tale Delibera, il Consiglio e ASNODIM avrebbero adottato una serie di ulteriori misure limitative della libertà di iniziativa economica dei notai e della libertà di scelta degli inquilini/acquirenti dei notai di fiducia, fra cui le attività di monitoraggio degli atti stipulati dai notai del distretto, gli interventi nei confronti dei notai che hanno accettato incarichi direttamente dagli inquilini, la stipula di Protocolli di intesa con gli enti proprietari degli immobili da dismettere con allegati i Tariffari che i notai designati erano tenuti ad applicare per gli atti da stipulare.
Con la sentenza in commento il Tar Lazio ha in primo luogo rigettato il motivo di ricorso con cui i ricorrenti hanno sostenuto l’illegittimità del provvedimento per avere l’Autorità avviato il procedimento sanzionatorio dopo il decorso del termine di prescrizione quinquennale dall’adozione della delibera del 2006, richiamando il recente orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto agli illeciti antitrust consistenti nell’adozione di atti regolatori illegittimi la natura di illeciti istantanei, così che la prescrizione incomincia a decorrere dall’emanazione degli stessi.
Il rigetto della censura è stato motivato sulla base del rilievo che l’intesa sanzionata non è consistita nella mera adozione della delibera del 2006, essendo le censurate finalità di ripartizione del mercato, compressione della facoltà di scelta dell’acquirente e fissazione dei prezzi di mercato, proseguite nel tempo a mezzo di una pluralità di atti (provvedimenti di designazione, protocolli d’intesa con gli enti proprietari di immobili, le attività di monitoraggio, ecc.) che abbracciano un lungo arco temporale.
Parimenti non meritevole di accoglimento è stato giudicato il motivo con cui i ricorrenti hanno sostenuto che l’attività svolta dal Consiglio nella distribuzione degli incarichi, attenendo ad un’attività di “gestione di servizi di interesse economico generale”, non sarebbe stata soggetta alla normativa antitrust secondo la clausola generale di esenzione codificata dall’art. 8, comma 2, della legge n. 287/1990.
Il Tar Lazio ha in proposito affermato che la sola attività posta in essere dai Consigli estranea alle prescrizioni antitrust, come emerge dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e dal tenore letterale dell’art. 1, comma 495, delle legge n. 205/2017, è quella strettamente disciplinare, alla quale risultano estranee, sia l’attività di individuazione, in maniera vincolante da parte del Consiglio, di un professionista incaricato di una determinata stipula, sia l’attività di fissazione dei prezzi. Né – ha proseguito il Tar Lazio – la sottrazione all’ambito di applicazione delle norme a tutela della concorrenza può essere rinvenuta nella finalità perseguita dalla delibera, atteso che la stessa avrebbe potuto essere conseguita nel rispetto delle norme antitrust.
I giudici amministrativi hanno invece ritenuto condivisibili, e dunque accolto, le censure con cui le ricorrenti hanno contestato:
(i) che l’intesa sarebbe stata posta in essere anche mediante l’adozione di provvedimenti disciplinari, trattandosi di provvedimenti antecedenti il 2006, che si pongono pertanto al di fuori dell’arco temporale considerato dall’AGCM come rilevante
(ii) le affermazioni contenute nel provvedimento secondo cui l’intesa sarebbe altresì consistita nell’esercizio di pressioni su alcuni notai, al fine di convincerli a rinunciare ai mandati ricevuti in difformità della designazione del Collegio, in quanto le prove di tali condotte, rappresentate da trascrizioni di registrazioni non prodotte, sono state reperite dal segnalante e non da una pubblica autorità;
(iii) la definizione del mercato rilevante, ravvisato dall’Autorità in quello relativo all’erogazione di servizi notarili (rogiti e mutui) nell’ambito delle dismissioni del patrimonio immobiliare di enti pubblici e previdenziali dell’intera Corte d’appello di Roma, anziché nel distretto notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia, in quanto l’astratta possibilità per i notai di rogare all’interno del distretto della Corte d’appello (e quindi oltre i confini del distretto di appartenenza) – sulla scorta della quale l’AGCM ha esteso i confini del mercato rilevate – nulla dice sull’utilizzo in concreto della facoltà di scelta da parte dei clienti.
L’accoglimento di tali censure non ha tuttavia avuto alcun effetto né sull’accertamento dell’illecito, né sulla quantificazione della sanzione.
Osserva infatti il Tar Lazio da un lato che la mancata prova della ricorrenza di una delle modalità comportamentali sanzionata, così come l’ampiezza del mercato rilevante, assume rilievo solo in punto di gravità dell’illecito, e dall’altro che tali circostanze rimangono nel concreto assorbite nell’attività di riduzione della sanzione a quella massima irrogabile in ragione del massimo edittale del 10% del fatturato posta in essere dall’Autorità.
La sentenza è disponibile qui.
Fonte: Giustizia Amministrativa